Ritorna lo spettro del biodigestore, nasce il comitato “Difendiamo la nostra salute e il nostro territorio” presieduto dal professore Limone

AREA ATELLANA. Ritorna lo spettro di un gigantesco biodigestore per le nostre terre martoriate.

L’impianto, che sorgerà a Gricignano di Aversa, tratterà 110.000 tonnellate di rifiuti l’anno, a fronte delle  24.000t/anno dell’impianto di Sessa Aurunca ; delle 50.000t/anno dell’impianto di Caserta ; delle 30.000t/anno del biodigestore di Casal di Principe; delle 20.148t/anno di Villa Literno.

E lo sapete chi ne pagherà lo scotto? Una terra maltrattata e violentata: la terra dei fuochi.

Una terra già malata, fetida e moribonda…: diamole pure il colpo finale!

Agli sversamenti illegali, ai roghi tossici e ai miasmi nauseabondi di fabbriche note, che rendono l’aria irrespirabile, si aggiungerà altro veleno.

Nasce per fare chiarezza e per la difesa della salute e del territorio il comitato “Difendiamo la nostra salute e il nostro territorio”, con presidente prof. Giuseppe Limone.

Tuttavia, non vogliamo essere fraintesi.

Il nostro non è il rifiuto aprioristico del biodigestore, ma la manifestazione di una ferma volontà di difesa del territorio da un mostro che fagociterà 110 mila tonnellate di rifiuti. 

Ben oltre l’esigenza del circondario. 

Inoltre, l’impianto tratterà non solo rifiuti organici, non solo FORSU, ma anche rifiuti speciali.

Le variazioni di composizione sono importanti perché comportano la presenza di composti dannosi per la salute umana e per l’ambiente quando vengono immessi in atmosfera.

Facciamo chiarezza.

Nei biodigestori i rifiuti umidi (organici), dopo una fase di pre-trattamento e pulizia, vengono inviati in grossi vasconi sigillati dove sono presenti microrganismi (batteri) che, operando in assenza di ossigeno, favoriscono la trasformazione della sostanza organica in biogas e in digestato. Il biogas prodotto – miscela di gas costituito prevalentemente da metano e anidride carbonica oltre ad altre sostanze dannose e nocive – viene poi trattato in un processo di depurazione chiamato “upgrading” per ottenere sostanzialmente metano.

Il digestato – che rimane nei vasconi dopo la produzione del gas – viene poi sottoposto a trattamento di “compostaggio aerobico” che si sviluppa in ampie fosse ben aerate dove, per l’azione di altri microrganismi che operano in presenza di ossigeno, viene trasformato dopo alcuni mesi in “ammendante”, che non ha nulla a che vedere con il compost. 

L’alternativa alla biodigestione è proprio il compostaggio di tutto il materiale organico, che fornisce un compost di altissima qualità, indispensabile per rinnovare i terreni agricoli, e in percentuale più che doppia rispetto a quanto avviene a partire dal digestato.

Fatte queste precisazioni, dichiariamo che la nostra opposizione contro il biodigestore deriva dalla considerazione che si tratta di una soluzione agli antipodi della strategia dell’economia circolare; di una soluzione antieconomica per i cittadini, ma molto remunerativa per gli imprenditori; di una soluzione che richiede impianti di grandi dimensioni a fronte della produzione di un quantitativo di energia piuttosto scarso. 

Si tratta di un impianto che produce un ammendante praticamente inutilizzabile, generando cattivi odori e inquinanti. Inoltre, i grossi serbatoi di gas prodotto costituiscono un serio rischio per la popolazione. 

La nostra critica, ferma e decisa, si appunta sull’inadeguatezza ecologica della tecnologia, sulle dimensioni degli impianti e sull’individuazione del sito, già martoriato da industrie che rendono l’aria nauseabonda e irrespirabile. Un terreno troppo vicino ai centri abitati che insiste in un’aerea già satura, per la presenza di altre industrie e di altri impianti di smaltimento rifiuti e di sversamenti illegali noti alla cronaca, che hanno causato un documentato alto tasso di tumori. 

I problemi che si pongono sono quindi molteplici: emissioni in atmosfera, polveri sottili, odori fetidi e puzzulenti, scarti e rifiuti, rumori irritanti e fastidiosi, seri e documentabili rischi sanitari, importanti rischi idrogeologici, inquinamento e traffico (circa sessanta TIR quotidianamente).

Abbiamo sollevato il problema, ma di riflesso proponiamo anche una soluzione, semplice ed ecosostenibile: adottare il solo compostaggio per tutti i rifiuti organici realizzando pochi impianti di dimensioni più contenute – massimo 20.000 tonnellate l’anno – e puntare sul concetto di prossimità, realizzando mini-impianti di periferia, compostiere di comunità e piccoli siti per gli scarti.

A questo punto ci chiediamo, chi c’è dietro questa scelta di puntare su una tecnologia che presenta notevoli rischi, invece di sostenere le buone pratiche di recupero di materia attraverso impianti di compostaggio aerobici?

Si ricorda infine che questa priorità è dettata dell’art. 4 comma 6 del D.Lgs. n. 205/2010 (in recepimento della direttiva europea 2008/98/CE): «Nel rispetto della gerarchia del trattamento dei rifiuti, le misure dirette al recupero dei rifiuti mediante la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio o ogni altra operazione di recupero di materia sono adottate con priorità rispetto all’uso dei rifiuti come fonte di energia».

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