Sant’Arpino. Art-days, venerdì 25 ottobre l’inaugurazione della mostra di Francesco Capasso “Il crepuscolo di tutto”
SANT'ARPINO. Per la quarta edizione Art Days – Napoli Campania, il primo grande evento diffuso e collettivo per l’arte contemporanea nella regione, negli spazi dell’Opificio Puca, centro per l’arte contemporanea, venerdi 25 ottobre 2024 alle ore 18.00 si inaugura la mostra personale di Francesco Capasso, dal titolo Il crepuscolo di tutto.
Il progetto espositivo prosegue e sigilla la performance realizzata un anno fa, nell'ottobre 2023, in cui l'artista si immerse al centro del Volturno, nel tratto chiamato "fiume morto", nell'attesa che si compisse il crepuscolo, attimo potente ed evocativo in cui ogni cosa si mostra nella sua ultima luce. Le opere, composte da un ciclo di dipinti inediti, sono state realizzate tra il 2021 e il 2024 nell'ambito del progetto Oh, ah, si! sul fiume fuori rotta curato da Maria Giovanna Abbate.
Sono opere monumentali e ipertese, in dialogo con l'omonimo poema di Giuseppe Montesano, in cui si racconta un mondo dove "svuotata e pallida l'alba dell'autunno arriva / E i trapassati hanno visi di inermi nella limpidezza / Della luce". Ogni opera è una meditazione sull'agonia del vivente, sullo sfaldarsi di questo mondo, intrappolato in un’attesa vana e dolorosa di un'alba che non giungerà mai, mentre tutto si spegne lentamente nell’ombra.
Francesco Capasso (Napoli 1970)
Diplomato presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli in Pittura e Scultura. Vive e lavora a S. Arpino (Ce).
Parallelamente ai diversi media e linguaggi adoperati, ha sviluppato progetti curatoriali e educativi, sconfinando in ambiti disciplinari diversi. Nel 2018 è tra i fondatori dell’Opificio Puca, lo spazio culturale indipendente che dal 2021 con il progetto Oh, ah, si! sul Fiume fuori rotta si è proposto come modello multidisciplinare sperimentale di arte pubblica e partecipata.
Tra i fondatori del Gruppo Underworld, dal 2004 al 2006 intraprese un lungo vagabondaggio, seguendo l’itinerario segnato da una strada a scorrimento veloce, l’Asse Mediano, in compagnia di scrittori, di critici, di artisti, di architetti, di urbanisti. Napoli Assediata, la video installazione e il libro che ne scaturirono, nascevano dalla comune responsabilità poetica e politica nei confronti del mondo.
Alcune delle sue mostre in spazi pubblici e privati:
Our Rivers Share a Mouth / I nostri fiumi condividono una bocca, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Guarene (2024)a cura di Aigerim Kapar, Andria Nyberg Forshage, Jiayue He. The Others Fair
ex Ospedale Militare Alessandro Riberi, Torino (2019). Forever Never Comes, Parco Archeologico di Roselle, Grosseto (2017) a cura di Lapo Simeoni. Napoli Assediata, Istituto Cervantes di Napoli (2007) a cura di Giuseppe Montesano e Vincenzo Trione. Sogno Barocco, Istituto Cervantes di Napoli (2007) a cura di Giuseppe Montesano e Jose' Vicente Quirante.
Cominciamo dalla fine.
Monaco di Baviera, 9 giugno 1982. Fassbinder passa la notte a scrivere e riscrivere senza trovare quello che sta cercando. Tra ventiquattro ore morirà per un attacco cardiaco causato da abuso di cocaina e farmaci. Ha 37 anni, e ha già realizzato numerosi film. Ma quella notte, come tutte le notti degli ultimi mesi, la passa a cercare di dare forma a un’ossessione. Vuole raccontare il rapporto tra due uomini, maestro e allievo. Un rapporto totalizzante, sadico, imprescindibile, divinatorio, folle. Un rapporto in cui sia compreso tutto: amore, odio, paura, speranza, orrore, ansia, felicità. È la sua vita, cerca le immagini e le parole della sua vita e non le trova.
Il 10 aprile 1964 Glenn Gould ha 32 anni e sta tenendo un concerto al Wilshire Ebell Theatre di Los Angeles. Il teatro è stracolmo, Gould suona sette brani, comprese quattro fughe di Bach, sul suo fedele Steinway CD 318. Alla fine dell’esibizione si avvia verso l’uscita per non fare mai più ritorno su un palco davanti al pubblico. La musica, diceva, “è uno sport sanguinario, qualcosa che ciascuno dovrebbe ascoltare da solo”.
David Foster Wallace negli anni ‘90 voleva scrivere "di cosa si prova a vivere, invece di scrivere come sollievo da quello che si prova a vivere” Le parole che si accumulavano sulla pagina finivano alla lunga per diventare una stele di rosetta, il simulacro di una nuova grammatica che avrebbe detto dell’uomo nuovo, che avrebbe raccontato l’uomo capace di resistere alle vibrazioni telluriche di questo tempo osceno in cui i peggiori dominano i migliori, in cui pochi hanno la meglio su molti. La più grande tragedia per uno scrittore è avere la sensazione molto netta e molto divorante che un milione di parole potrebbero non riuscire a dire in ogni caso nulla.
Un regista, un musicista e uno scrittore hanno passato gran parte della loro vita a cercare di dare una dimensione tridimensionale alla loro intelligenza emotiva e spirituale. Sono i tre artisti a cui mi è venuto da pensare guardando i dipinti di Capasso, che non sono nemmeno dipinti e non sono nemmeno immagini, sono il tentativo molto raffinato, molto preciso e molto ingenuo (ingenuo per purezza di atteggiamento, per mancanza di compromissione con le logiche del mercato e con le dinamiche che trasformano l’artista in businessman) di cercare tutto quello che questi altri artisti hanno più o meno sfiorato e più o meno trovato nelle loro opere. In questa stratificazione di materiali e segni, realtà e irrealtà non sono più opposti ma sono parti della stessa unità. Sono i filamenti di dna con cui viene creato il nuovo mondo e il nuovo mondo è una finestra e uno specchio allo stesso tempo. Ci proietta verso l’esterno mentre riflette ciò che siamo. Il nostro sguardo vaga sulla superficie della tela e cerca un punto di ancoraggio, cerca coordinate che definiscano storia, valori, idee, possibilità. E trova invece il battito pulsante di un’immaginazione che ha introiettato così tanta realtà dentro di sè, da non riuscire più a distinguere i confini. Cosicché dove finisce l’arco naturale di una porta, comincia un istante dopo (o prima) il buco nero di un universo. Dove un volto potrebbe emergere, si intravede subito sotto il contorno tricromo di un semaforo spappolato e ricostituito. Io vedo caos e danza, anarchia e ferocia, amore e delusione. Vedo Fassbinder, Gould e Wallace e in queste immagini riconosco ansia di possesso, fuga e ossessione totalizzante. E poi, subito dopo, penso: Come sarebbe bello se questi tre uomini così diversi tra loro potessero essere qui con noi adesso, e guardare queste immagini come le guardiamo noi, e sentire la profonda connessione che hanno con loro e tra di loro. Mi piacerebbe dirgli che sono gocce d’acqua su pietre roventi. Che indugiando un secondo di troppo nell’epicentro di certe raffigurazioni di Capasso è possibile percepire l’anelito alla fuga mentre divampa la musica sanguinosa di Gould. Mi piacerebbe dirgli che la beffa infinita dell’arte è sempre davanti ai nostri occhi, e ci rincuora mentre ci annichilisce. Forse a questo serve continuare a dipingere, nonostante tutto. A raffigurare una via d’uscita dall’orrore del Tempo, utilizzando gli strumenti stessi del tempo.
Suprema ironia di ogni cosa che sta sopra di noi. (Luigi Pingitore)
“Il suo lavoro sembra sporco, di una dialettica non vicina ai nostri tempi, qualcosa appartenente ad un tempo remoto, forse mai esistito nella contemporaneità.
Il suo farsi sul suolo non mi colpisce per il risultato, ma per la propensione verso una incognita naturale.
Il rapporto primordiale che instaura con la materia pittorica è inseparabile dal suo carattere; ma lui non lo riconosce…è come osservare un cane che si lecca i peli prima ancora di goderne dell'azione.
Forse l'atto non è fondamentale per gli altri quanto il risultato, ma io so bene cosa lui voglia intendere.
Nulla, nient'altro che la perdizione” (Antonio Lanna)